Caso Catalent, Associazione Medici di Famiglia per l’Ambiente: “Inquinamento e degrado demoni di questa terra”
Caso Catalent, comunicato ufficiale dell’Associazione Medici di Famiglia per l’Ambiente di Frosinone e Provincia.
“L’Associazione Medici di Famiglia per l’Ambiente di Frosinone e Provincia, a proposito del caso Catalent, ritiene che non certo a causa di improvviso prurito verso il territorio, siano stati spostati 100 milioni di investimenti da Anagni in Inghilterra, con adduzione di causa in ritardi e lentezze burocratiche. Ed ora grottescamente, elezioni alle porte, quando tutto è irrimediabilmente compromesso, c’è chi corre per la convocazione dei tavoli sindacali. La politica si mostra inebetita, quasi si trattasse di un evento inatteso ed imprevedibile, mentre c’è chi strumentalmente vuol far intendere che la responsabilità ricada sul nostro vilipeso territorio in quanto SIN, Sito di Interesse Nazionale necessitante di Bonifica che, in virtù di tale caratterizzazione, avrebbe rallentato, anzi bloccato, le pratiche autorizzative. Niente di più pretestuoso e fuorviante se paragoniamo la estrema apertura che la Regione Lazio, ente decisorio per le autorizzazioni, mostra ai proponenti di biodigestori, inceneritori e/o industrie insalubri per il trattamento dei rifiuti. Il polo della Valle del Sacco e la Ciociaria resi attrattori per l’industria dell’immondizia, tra le peggiori nel determinismo del danno ambientale e nella genesi della malattia, grazie una burocrazia che, nel caso di specie, si è mostrata tutt’altro che matrigna. Basti considerare che il biodigestore di Frosinone che deve produrre, comprimere, liquefare, stoccare e trasportare un gas, potrebbe trovare autorizzazione regionale senza verifica preventiva dei Vigili del Fuoco e valutazione della DIRETTIVA SEVESO pur trattandosi di impianto potenzialmente esplosivo ad alto rischio di incidente, in virtù delle precipue caratteristiche. E che dire dell’esempio di San Vittore il cui inceneritore, che insiste sempre sul territorio ciociaro, risulta essere esempio di iter approvativo, non certo ostativo e rallentato da parte dei decisori regionali? Basti ricordare che nell’ultima e conclusiva conferenza dei servizi regionale per l’approvazione di una nuova linea aggiuntiva al da sempre propagandato termovalorizzatore, si è acclarato, in virtù di inequivocabili dati tecnici emersi proprio in quell’occasione, che trattavasi e trattasi di un inceneritore e non di un termovalorizzatore, ovvero di altra industria rispetto l’oggetto in discussione e per il quale si chiedeva addirittura l’ampliamento. Una simile scoperta avrebbe dovuto porre lo STOP a qualsiasi iter autorizzativo. Al contrario, pur trattandosi dell’ultima e definitiva seduta decisoria, è stata concessa un’incomprensibile proroga a tutto vantaggio del proponente. Quando trattasi di rifiuti nel territorio Ciociaro tutto diventa rapido, si CORRE e tutto si semplifica, fino ad ipotizzare i miracoli, quale la magica trasformazione di un inceneritore in termovalorizzatore o la scomparsa di aeree boschive da un giorno all’altro, se non addirittura la trasformazione sartoriale delle procedure a seconda delle esigenze del fortunato proponente: vedi Biodigestore Maestrale a Frosinone. Non è il SIN ad essere maledetto. Il SIN è stato proclamato tale nel lontano 2005, poi declassato nel 2013 ad interesse regionale e successivamente, nel 2016, riclassificato nazionale a scopo difesa e ripristino del territorio. Solo dal 2013 ci sono stati più di due decine di proclami di bonifica imminente. Mera propaganda seguita inesorabilmente dal nulla. In ben 17 anni una politica colta, attenta, preparata e non raffazzonata, si sarebbe indirizzata verso il ripristino della normalità, non acconsentendo al degrado ambientale e sanitario e con esso alle malattie e alle morti. Prima la famigerata industria bellica, poi la chimica con i suoi veleni, adesso il fetore dei rifiuti. Non è il SIN il demone di questa terra ma l’inquinamento e il degrado mai affrontati e risolti per incuria e disinteresse verso il territorio. Di fronte la fuga di imprenditori possibili investitori, si dovrebbe riflettere su quanto affermato da un Magistrato, come da stampa, relativamente una vicenda riferita ad un’industria del SIN della Valle del Sacco: «il rappresentante dell’AeA invece di allarmarsi e pretendere che l’azienda rispetti i limiti per allacciarsi, ne fa una questione di soldi, nella piena consapevolezza che l’azienda scaricherà i reflui violando parametri importanti, addirittura secondo lui non derogabili». Secondo un tale sistema, coloro che conferiscono i veleni più pericolosi, risulterebbero essere i clienti più remunerativi: maggiore la pericolosità degli inquinanti, maggiore il profitto. Quali implicazioni, quali responsabilità, quali conseguenze insite in una siffatta dichiarazione? Invece di aizzare la propaganda contro le misure a difesa del territorio e delle genti, quali quelle previste dal SIN, bisognerebbe interrogarsi sul perché nella Valle del Sacco si continui a non bonificare ed a inquinare, con insostenibile sequela di malattie, morti e fuga degli investitori. Non il SIN ma “UNA QUESTIONE DI SOLDI”, il vero dramma di questa Valle”.